Pensiero del mese: Ottobre 2005


Parole Ammalate

Le parole, diceva Pasolini, si ammalano. E le parole ammalate sono un' afflizione più che un aiuto.
Ci sono alcune parole che sono entrate nel vocabolario umano e cristiano, ma che rischiano di diventare più un modo di dire che l’espressione di una realtà autentica. Pensiamo, per esempio, a parole come "accoglienza", "condivisione", "ascolto". Parole bellissime e molto usate (o abusate?). Accoglienza, condivisione e dialogo esprimono tre concetti complementari che dovrebbero costituire la regola aurea del comportamento umano e cristiano.

Tutte assieme tali parole ne richiamano un' altra che le riassume: solidarietà. Ma forse è parola in un certo senso ancora più malata da quando se ne sono appropriato anche certi personaggi vestiti da una divisa “sociale” ma lontanissimi dal senso cristiano originario. Spesso però viene intesa malamente anche da cristiani, perché parlano di solidarietà e pensano ad un aiuto da organizzare, o alla "buona parola" di circostanza. Si dice accoglienza, condivisione, ascolto e si pensa al club, al gruppetto, alla veglia di preghiera, dove si sta tanto bene, si dice il Padre Nostro tenendosi per mano, ci si scambia la pace con sguardo d'intesa "come veri fratelli". E gli altri cosa sono?Come è facile volersi bene quando tutto va bene. E poi ?

Ognuno di noi potrebbe raccontare storie di piccole o grandi vendette, di musi e rancori, di dispetti e prevaricazioni; di vanità magari ecclesiali o di uomo-donna di fiducia, braccio destro, factotum, colonna portante e via dicendo. Ognuno di noi potrebbe anche raccontare storie di emarginazione, di chiusura. Si trovano persone arroganti, ma anche alcune perseguitate dall’invidia, dall’indifferenza, o emarginati dalla società perbenista senza ragionevoli motivi (ma ne esistono?) Alcuni, lontani, tentano di avvicinarsi, ma neppure nella Chiesa trovano un appoggio (qualche volta): forse “inciampano” in una chiesuola, piccola piccola, riparo di anime elette, coltivate amorevolmente da pastori limitati, che si commuovono davanti alle novantanove pecorelle perseveranti e pensano di non averne nessuna dispersa o, se sì, è perché se l’è voluta. E’ grave la colpa di questi “eletti” che respingono con una barriera di parole, piene di sospiri lacrimevoli o frasi edulcorate. Penso all’accoglienza che aveva Cristo. La devo andare quando rimprovera gli Apostoli che lo vorrebbero proteggere, o quando sfugge alla loro vigilanza per andare lontano e poi ritrovarsi in mezzo a una folla affamata. Ha pietà di loro: li accoglie davvero, e li fa oggetto di miracolo, condividendo pani e pesci: sono una folla anonima, che forse non vedrà mai più. Ma sono suoi.

Il mondo ha bisogno di cristiani che allo stesso modo siano pronti a sfondare i confini del perbenismo ipocrita delle sedi sociali o dei circoli … cattolici. Rientrare in noi stessi e fare deserto attorno, dove non c’è limite, se non nel vento, nel fuoco, nel sole e nella notte. Dove non ci sono porte da chiudere e dove le parole malate potrebbero guarire, perché ritrovano un calore evangelico.

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