Pensiero del mese di Novembre 2011

" Un crocifisso ,  il Crocifisso "  

L’Italia è stata assolta dalla colpa di ledere i diritti umani per la presenza di un crocifisso su una parete, colpevole – per alcuni – di indottrinare con la sua presenza. Era necessaria l’assoluzione della Corte europea. Amen. Se togliamo il crocifisso dovremmo anche eliminare dal nostro calendario, se non le vacanze di Natale, almeno quelle di Pasqua, andare al lavoro anche la domenica, per non subire la violenza della risurrezione di quel crocifisso che ci obbliga a dormire fino a mezzogiorno, stare con la nostra famiglia e mangiare un dolce, senza avere ragioni particolari per festeggiare...
Ogni luogo ha i suoi arredi. In chiesa voglio trovare un crocifisso, in classe una lavagna. Non si tratta di mettere crocifissi dove non è necessario che stiano, né toglierli da dove sono sempre stati. Lo scriveva già Natalia Ginzburg, ebrea, nel quotidiano “L'Unità”, il 22 marzo 1988, attraverso un articolo ( «Quella croce rappresenta tutti»):
«Il crocifisso non genera discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. 
Forse il crocifisso è tornato osceno come lo è stato nei primi secoli del cristianesimo. Forse lo toglieremo e ci colpirà ancor più la sua assenza, come mi ha detto un amico: «Chi toglie il crocifisso dai muri non può non fare i conti con il segno dei chiodi».
Il mondo è pieno di «crocifissi» che urlano dal silenzio delle ingiustizie pietà e giustizia.
 I cuori dei poveri lacerati dai potenti sono presenti (ma occultati dagli egoismi) in ogni parte del pianeta.
Ora quei chiodi del Golgota fanno paura sui muri pubblici. Ma non è ipocrisia quando sentiamo chiedere amore in nome di LUI da anonimi missionari, da sconosciuti personaggi perduti nei continenti?
Cristo non fa paura, ma noi abbiamo paura  di Lui, perché ci ricorda che anche vicino a noi muoiono tuttora dei nostri fratelli che chiedono
di vivere …
Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e dei prossimo. Chi è ateo, cancella l’idea di Dio ma conserva l’idea del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine.
È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti, perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, sembra un bene che i ragazzi lo sappiano fin dai banchi della scuola.
Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero. Tutti, cattolici e laici portiamo o porteremo il peso, di una sventura, versando sangue e lacrime e cercando di non crollare. Questo dice il crocifisso. Lo dice a tutti, e non solo ai cattolici.

Appendice
al Novembre dei MORTI

Oggi si è creata una tacita congiura: proibito parlare della morte. Quasi tutti hanno l’ottima idea di andare a morire all’ospedale, dietro a un anonimo paravento, in modo da non spaventare quelli di casa. La parola morte è sostituita da sinonimi più dolcificati. I cimiteri sono trasformati in eleganti musei da visitare, con la sola differenza che, ancora, non si  paga il biglietto di  ingresso.
Ma la morte continua ad esistere. Le persone intelligenti vi pensano e ne traggono pratiche conclusioni per imparare a vivere.
Il signor Corrado [un ipotetico tra i numerosi visitatori] non ha mai avuto un grande trasporto per la visita al cimitero. Ma questa volta la moglie, essendo il giorno dei morti, ha tanto insistito che ha finito per andare. In un primo momento, varcato il cancello, crede di aver sbagliato e di trovarsi sulla piazza del mercato; poi, osservando meglio, si rende conto di essere entrato nel luogo giusto: è proprio il camposanto.
E’ un credente e vorrebbe pregare, pensare al mistero della morte col quale quei fratelli sepolti già si sono incontrati, ma prende immediatamente atto che è impossibile farlo con concentrazione e devozione. Lo fa come gli riesce e, nel frattempo, si aggira fra le tombe. Le osserva.
Alcune sono ornate da mazzi di fiori di prima qualità, altre mostrano le foto a mezzo busto dei cari estinti, incorniciate di prezioso argento.
Anche le iscrizioni attirano il suo sguardo: tutte persone ottime, compiante dai parenti. Una in particolare colpisce la sua attenzione: «All’adorato papà, i figli che mai lo potranno dimenticare”; è l’unica tomba senza un fiore o un cero, coperta di erbacce.
Viene distolto dai suoi pensieri dal rumore di voci che ora si fanno veramente assordanti. Osserva quella folla. Le persone si salutano con cordialità, con sorrisi e abbracci, e si comunicano la vicendevole meraviglia per non essersi più incontrate dal precedente due novembre. Altre ne approfittano per informarsi di amici che non vedono più in circolazione e, apprendendo che sono morti, escono nel «poverino» o «poverina» di circostanza e cambiano subito argomento, perché, si dice, parlare dei morti porta male...
Corrado è certo che i defunti avrebbero tante cose da suggerire agli svagati visitatori, ma come fare? Parlano tutti fra di loro e nessuno sembra aver voglia di ascoltarli. Quando gli capita di vedere due giovincelli che si aggirano fra i tombini, sorbendo con indifferenza il loro gelato, allora si dirige verso l’uscita.
Altri escono con lui. Si salutano e si ripromettono di incontrarsi ancora il prossimo anno, come se fossero sicurissimi di essere senz’altro in vita.
Il pensiero che possa presto toccare loro la sorte dei loro morti, nel corso della visita al cimitero, non li ha nemmeno sfiorati. Si affrettano a salire sulle automobili, sgravati in coscienza per un dovere compiuto, ma anche desiderosi di chiudere una parentesi che, secondo loro, non ha nulla a che vedere con la vita che conta. Per fortuna che in quel luogo si sono potuti distrarre, parlando del più e del meno con amici.
Corrado prova per loro un senso di paura: e se la morte li cogliesse davvero alla sprovvista?!
Entra nella chiesa parrocchiale attigua; un sacerdote sta celebrando la Santa Messa a suffragio dei defunti. La gente è molto poca e, finalmente, regna un silenzio che invita alla riflessione. Corrado ne sente la necessità e si immerge subito nel clima invitante della Liturgia. «Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge questa vita terrena, ne viene preparata una eterna nel cielo, proclama con voce chiara il celebrante.

Poi: «La luce eterna dona, o Signore, ai defunti assieme ai tuoi santi, perché tu sei buono”.

Al termine il sacerdote, prima del congedo, dice che intende implorare da Dio una grazia del tutto particolare e per lui e per loro: il dono grande di una buona morte, quando verrà per ciascuno l’ora stabilita. I presenti annuiscono col capo e devotamente ricevono la benedizione del Signore, che senz’altro suggella l’augurio del suo ministro.
La gente si appresta, senza fretta, ad uscire dalla chiesa e passa davanti a Corrado. Li osserva con attenzione: nessuno sembra turbato per il pensiero della morte che la Liturgia e il sacerdote hanno con tanta chiarezza richiamato; anzi hanno un volto disteso. -
Anche lui si sente tranquillo ed esce dal tempio non sgravato in coscienza per un dovere formalistico adempiuto, ma con una serena preoccupazione: preoccupazione perché si tratta di andare incontro al Signore che viene con tante opere sante; serena, perché la Liturgia gli ha ricordato che il Signore è buono.
Fuori sfila ancora la ressa che va e viene dal cimitero. Coglie al volo altre frasi di parenti o amici che si salutano: «Coraggio, quando c’è la salute c’è tutto», «Fin che dal cimitero si esce con le proprie gambe, è buon segno”.
Corrado, riferendosi alle belle parole della Liturgia, sa che i veri vivi sono loro, i morti. Lentamente si avvia verso casa, ringraziando ancora una volta Dio per l’immenso dono della fede e pregando per quei poveri «morti ambulanti» che continuano a sfilare sulle loro lussuose automobili.

 (Tratto dal volume «Racconti per la riflessione e la catechesi», ed. dell’Immacolata)



Due santi al mese


4 -  S. Carlo Borromeo  -


Nacque ad Arona (Novara) nel 1538. Dopo aver conseguito la laurea in utroque iure, dallo zio Pio IV fu fatto cardinale ed eletto vescovo di Milano.

Creò quattro collegi per la gioventù, ospizi per le ragazze in pericolo.  Tra le statistiche religiose da lui redatte colpisce il numero dei poveri bisognosi di assistenza pubblica: un sesto della popolazione. Vi si dedicò con  ogni mezzo, adoperandosi di persona specialmente durante la terribile pestilenza del 1576, di cui afferma il Manzoni: « fu chiamata la peste di san Carlo. Tanto forte la sua carità!» ( da I Promessi Sposi, c. 31). Morì a 46 anni, il 3 novembre 1584.


22 - Santa Cecilia, vergine e martire -

Il culto di Santa Cecilia, da cui prende nome la basilica innalzata a Roma nel secolo V, si diffuse ovunque, prendendo l'avvio da una "passione" nella quale ella viene esaltata come esempio perfetto di donna cristiana, che sostenne il martirio per amore di Cristo.

Ma ciò che maggiormente contribuì a farla amare ovunque è il fatto che sul suo ricordo è nato un grazioso racconto, che ha ispirato pittori, musici, poeti e la stessa Liturgia. 
Il fatto che la Santa romana sia stata considerata patrona dei musicisti, si spiega appunto con un passo della leggendaria “Passione” in cui si racconta che mentre gli organi suonavano, ella nel suo cuore, cantasse inni al Signore.