INDAGINE CONOSCITIVA,
SUI NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI PER LA TUTELA E LA VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI

1º  Resoconto  stenografico
SEDUTA DI MERCOLEDÌ 24 OTTOBRE 2001
 
Presidenza del presidente ASCIUTTI

    SGARBI, sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali
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        N.B.: Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; CCD-CDU:Biancofiore: CCD-CDU:BF; Forza Italia: FI; Lega Nord Padania: LNP; Democratici di Sinistra-l’Ulivo: DS-U; Margherita-DL-l’Ulivo: Mar-DL-U; Verdi-l’Ulivo: Verdi-U; Gruppo per le autonomie: Aut; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti Democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto-Lega per l’autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l’Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma.         Interviene il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali Vittorio Sgarbi.
        I lavori hanno inizio alle ore 16,30. PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione del sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali Vittorio Sgarbi
        PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’indagine conoscitiva sui nuovi modelli organizzativi per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, deliberata dalla Commissione lo scorso 17 ottobre insieme ad un’altra in materia di ricerca scientifica. Il Presidente del Senato ha prontamente autorizzato entrambe le indagini suggerendo di non procedere congiuntamente al loro svolgimento, invito al quale abbiamo aderito dando oggi avvio a quella sui beni culturali.
        Sullo stesso tema nel corso della passata legislatura la Commissione aveva iniziato un’altra indagine conoscitiva di cui quella odierna rappresenta in un certo senso la continuazione.
        La presente indagine trae anche ragione dalle recenti modifiche costituzionali che hanno riservato alla competenza legislativa statale i profili inerenti la tutela, rimettendo però alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle regioni quanto attiene alla valorizzazione.
        In tal senso, ci è sembrato importante ascoltare innanzi tutto il Governo – rappresentato oggi dal sottosegretario Sgarbi, al quale do il benvenuto – per avere un quadro complessivo della nuova situazione normativa determinatasi, nella quale ovviamente il Parlamento dovrà potersi muovere.
        Da questo punto di vista diventa quindi di fondamentale importanza una riflessione della Commissione, considerata sia la vastità del patrimonio culturale, del quale ad oggi non è stata ancora possibile alcuna catalogazione – né, del resto, credo che questo obiettivo possa essere raggiunto da una indagine conoscitiva – sia l’avvio di alcune sperimentazioni nel settore, mi riferisco ad esempio alla sovrintendenza autonoma di Pompei, che esulano dalle tradizionali modalità di fruizione del suddetto patrimonio.
        Do quindi la parola al sottosegretario Sgarbi.
        SGARBI, sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, sinceramente – forse per un difetto di informazione e nonostante fossi a conoscenza sia dell’indagine conoscitiva iniziata nella passata legislatura, sia della volontà di questa Commissione, che considero sovrana in questa determinazione, di procedere ad una nuova indagine su questa materia – avevo ritenuto che oggetto della audizione odierna sarebbe stato uno specifico segmento di questo settore relativo alla realtà campana.
        Prendo invece atto che dovrò riferire sulla situazione complessiva di questo comparto, una materia molto estesa e complessa.
        A questo proposito faccio immediatamente presente che quotidianamente si allarga il quaderno delle doglianze e anche la sensazione dell’inconsapevolezza della situazione da parte di chi dovrebbe invece essere competente.
        Oggi, ad esempio, dopo aver incontrato il sindaco di Bari con il quale ho affrontato la questione del teatro «Petruzzelli», che insieme al teatro «La Fenice» di Venezia rappresenta una delle tante priorità da risolvere, un mio collaboratore mi ha segnalato la programmata riunione del comitato di settore per i beni architettonici, che non avevo ancora avuto modo di incontrare dopo la nota vicenda che ha interessato la cattedrale di Pisa, nel corso della quale ho tra l’altro appreso notizie molto allarmanti.
        Da questo punto di vista ritengo quindi ancor più meritoria l’iniziativa della Commissione attraverso la quale non solo sarà possibile effettuare una verifica dell’attuazione della nuova normativa sui modelli organizzativi per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali – che andrà in qualche modo corretta – ma anche constatare una serie di situazioni critiche che rappresentano autentici «orrori» senza precedenti.
        In questo contesto si inserisce anche un atto formale del Governo che considero estremamente significativo, mi riferisco alla richiesta di un’ampia delega al Parlamento per ciò che attiene ai beni culturali. Pertanto, ferma restando l’attività normativa che il Parlamento dovrà svolgere in materia di musica, teatro o cinema, la tutela del patrimonio artistico è tra gli argomenti che potranno essere più rapidamente affrontati in virtù della suddetta delega. In tal senso il ministro Urbani incontrerà i Presidenti delle competenti Commissioni dei due rami del Parlamento per valutare insieme quali argomenti possano essere delegati direttamente al Ministero e quali altri invece debbano essere opportunamente discussi nelle Aule parlamentari. È un tema importante che investe il rapporto tra Governo e Parlamento, da valutare con attenzione nell’ambito di un confronto che richiede anche l’intervento dell’opposizione, proprio in considerazione di quanto di positivo è venuto e può ancora venire sia dalla ex opposizione che da quella attuale.
        Desidero a questo punto segnalare una serie di episodi sconcertanti ed inconcepibili in un corretto rapporto istituzionale. Mi riferisco alla presa di posizione di alcuni membri del Consiglio nazionale per i beni culturali – rispetto alla quale alcuni hanno giudicato la mia risposta eccessivamente perentoria e violenta, ma che invece era soltanto reattiva – organo di consulenza del Ministero, il quale deve rendere conto, in una logica che non definirei gerarchica, ma semplicemente di rapporti ordinari, al Ministro. Ora, tanto per fare un esempio, è difficile immaginare il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura che si mette sparare bordate nei confronti del Presidente della Repubblica che è a capo di quello stesso organo, ciò che invece è accaduto nell’ambito del Consiglio nazionale per i beni culturali, ne è prova il comportamento tenuto sotto mentite spoglie dal senatore Chiarante e da Vittorio Emiliani.
        La polemica cui ho fatto cenno ha avuto per oggetto la proposta del Ministro (contenuta nel disegno di legge finanziaria) di concedere ai privati la gestione meramente materiale del patrimonio artistico (biglietteria, servizi aggiuntivi, ristoranti, book shop e quant’altro) certamente non la tutela – argomento sul quale le posizioni sia del Ministro che mie sono notorie – secondo un modello già applicato in tutti i musei americani, tedeschi o francesi, e in Italia nell’ambito della Galleria Borghese.
        Ebbene, questa iniziativa, che non aveva alcuni intendimento privatistico, né di mercificazione, è stata interpretata come una gravissima minaccia al patrimonio artistico e non – come invece sarebbe stato legittimo – da parte di un politico dell’opposizione o da un membro di una associazione ambientalista come «Italia nostra», bensì dal vicepresidente Chiarante e dal consigliere Emiliani i quali hanno inviato una lettera a «Il Corriere della sera» firmandosi rispettivamente «Associazione per la bellezza» e «Associazione Bianchi Bandinelli», dal che ho desunto che si fossero dimessi dal Consiglio. Ebbene, l’atto deontologico primario di un vicepresidente, non in malafede, di un organismo di tal genere dovrebbe essere quello di discutere le proprie perplessità con il Ministro competente ovvero con un sottosegretario, delegato quale io sono, essendo soprattutto nota la mia visione iperstatalista della tutela del patrimonio culturale ed artistico esistente, visione peraltro molto vicina e assolutamente in linea con le posizioni assunte da alcuni colleghi della sinistra e soprattutto da associazioni come Italia nostra, WWF e Legambiente.
        Ho avuto modo di esternare la mia concezione ipercentralista in occasione dell’esteso vincolo che ho preteso sul porto vecchio di Trieste, che potrebbe anche essere oggetto di attenzione nell’ambito di tale indagine, ottenendo il plauso di associazioni come Italia nostra, Legambiente e altre. Il conflitto politico, dunque, non è reale ma solo strumentale.
        Mi corre l’obbligo di fare una precisazione dal momento che anche la lingua italiana è un bene culturale. Come appare tautologico parlare di restauro conservativo non esistendo restauro distruttivo, analogamente un’indagine non può che essere conoscitiva non esistendo indagini «sconoscitive»; tale specificazione è, dunque, pleonastica. O si procede ad una ricognizione del patrimonio artistico italiano esistente o ci si limita ad effettuare un’indagine, punto e basta, giacché la natura conoscitiva è implicita.
        Fatta questa premessa, nel corso dell’indagine la Commissione avrà modo di constatare come l’emergenza criminale sia soprattutto nel comparto del restauro architettonico mentre, ad esclusione delle difficoltà di reperimento delle risorse finanziarie e di organizzazione, nel caso delle biblioteche, degli archivi, del restauro e della tutela delle pinacoteche, delle gallerie, dei musei e persino degli scavi archeologici, i responsabili istituzionali operano in una realtà abbastanza serena.
        Nel settore invece del restauro architettonico si riscontrano casi emblematici quale quello, ad esempio, del Ponte di Alessandria, un piccolo gioiello dell’ottocento che dovrebbe essere abbattuto e quindi sostituito da una struttura progettata dal ben noto architetto Meyer, secondo uno schema che sinistra e destra che ragionino non possono che rigettare e che è stato oggetto di un’insorgenza mia in passato e ultimamente della collega Dameri.
        Ebbene, in tutta Italia, da qualunque parte si inizi il percorso, ci si imbatte in violenze al tessuto urbanistico e alle strutture architettoniche perpetrate sulla base del principio che la nuova architettura debba segnare la storia. Vedasi, ad esempio, l’intervento paracriminale effettuato nell’ottocentesca piazza Cadorna che è stata trasformata in una sorta di aborto a seguito dell’invasione di una stazione nord architettata da Gae Aulenti e di altri interventi di Claes Oldenburg, che ben evidenziano la confusione metodologica dominante in tale settore.
        L’indagine sui nuovi modelli organizzativi per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali potrebbe essere la premessa per stabilire una «grammatica» del restauro che dovrebbe portare alla creazione di un dipartimento per il restauro architettonico, almeno nei presìdi già esistenti, come l’Istituto centrale del restauro.
        Per il restauro pittorico, degli scavi archeologici e tutto quello che pertiene alle direzioni generali collaudate vi è la necessità di programmare interventi più importanti anche grazie all’assistenza di fondazioni, enti privati, statali o parastatali che integrino gli stessi interventi conducendoli ad un obiettivo conclusivo. Ad esempio, nella villa di Oplonti vi è un’area straordinaria non scavata, posta sotto una caserma, sulla quale si potrebbero immaginare interventi straordinari importantissimi, senza con ciò incorrere in difficoltà di carattere metodologico.
        L’intenzione metodologica di sfigurare violentemente la nostra civiltà architettonica e urbanistica, che si è configurata nei centri storici, è legata all’esistenza di un conflitto tra antico e moderno che dovrebbe essere risolto a favore dei moderni.
        In tempi recenti, Frank O’Gehry, autore del museo Guggenheim di Bilbao – una cattedrale nel deserto, in un città che è un deserto – ha programmato nel centro storico di Modena la costruzione di una porta bocciata dal sovrintendente, contrastata dal sindaco e infine respinta dal comitato di settore. Le ultime ondate di questa cultura hanno agito anche su un luogo fortemente emblematico sul quale ho particolarmente puntato l’attenzione quando ero all’opposizione; mi riferisco al nostro Parlamento, simbolo dello Stato e delle sue leggi.
        Con un’operazione assolutamente inconcepibile, un arbitrio storico assoluto, l’architetto Franco Zagari, attraverso una montagnola, ha elevato il livello della piazza per costruire quella grottesca meridiana che ben conoscete e che non ha precedenti. Non si può elevare a quattro metri un prospetto di livello zero; è come tagliare le gambe a una donna bellissima, di fatto schiacciandola.
        Nell’anno berniniano si è violentata un’opera del Bernini proprio davanti a Montecitorio, cioè laddove sono state approvate le leggi che intendono porre fine a scempi di tal genere. Per non parlare poi delle ristrutturazioni di piazza Risorgimento a Roma, e di interventi sui quali i giornali si sono largamente diffusi come, ad esempio, il restauro della cattedrale di Pisa per opera dell’architetto Vangi.
        Nel tempio malatestiano di Rimini – che è il più importante monumento del Rinascimento italiano – i servizi sanitari sono stati montati rimuovendo l’altare napoleonico, espressione della civiltà architettonica violata non per colpa del risentimento di un vescovo ma della scelta di una sovrintendenza di realizzare un’opera, ancorché minimalistica, assolutamente intollerabile.
        L’attività specifica che ho svolto in questi pochi mesi di Governo è definibile come una sorta di indagine volta a verificare situazioni in parte note, in altra parte sconosciute. Pur avendo dell’incredibile, è emersa, ad esempio, a Venezia una speculazione edilizia selvaggia nell’area degli ex stabilimenti Junghans, dove stanno sorgendo, con volumi tre volte superiori all’ultimo edificio preesistente di fine ottocento, alcune case popolari. Ebbene, in nome del popolo si compie qualunque crimine e, trattandosi di case popolari, si interviene con violenta irruenza su un’area vincolata come la laguna di Venezia nel quartiere della Giudecca.
        Non v’è giorno in cui non pervengano segnalazioni di violazioni di questo genere. L’altro giorno a Vigoleno, un meraviglioso borgo medievale, ho intercettato un ponte di acciaio costruito con enormi rondinoni di rame, invenzione di un architetto che ha ritenuto opportuno lasciare il proprio segno fra l’indignazione non solo della piccola popolazione del borgo ma anche del comitato di settore, che ha questa mattina definito la costruzione assolutamente inaccettabile. Si sta poi progettando di aggiungere alle mura di Piacenza un’ulteriore volta di colore azzurro, senza capirne bene il perché.
        Per quanto riguarda la gestione dei musei, contrariamente alle polemiche strumentalmente diffuse in questi giorni, è auspicabile che i responsabili istituzionali, pagati poco, possano continuare ad effettuare la ricerca scientifica, liberi da ingombri amministrativi, burocratici e di gestione del personale, delle biglietterie, delle rosticcerie e di tutti quegli adempimenti di carattere meramente gestionale, che distruggono l’attività di ricerca, di controllo e di tutela del restauro svolta dal sovrintendente: compiti che potrebbero invece essere concessi a gestori privati, come del resto già accade nella Galleria Borghese. Lo stesso modello organizzativo è stato utilizzato in occasione delle bellissime mostre di Caravaggio e di Artemisia e Orazio Gentileschi, recentemente allestite a palazzo Venezia, la cui gestione è stata totalmente affidata ad agenzie private che si occupano della biglietteria, della vendita di magliette, di libri e quant’altro, tutte attività che non mi sembra siano state strappate con danno allo Stato.
        Quello che ritengo invece importante è riqualificare il ruolo dei sovrintendenti consentendo loro la possibilità di lavorare a pieno nei settori di specifica competenza, al fine di garantire un maggior controllo sugli aspetti che veramente ci interessano e cioè il restauro, l’organizzazione di mostre sulla base di rigorosi criteri scientifici ed in genere l’attività culturale che è centrale e che quindi non può essere demandata alle regioni alle quali, peraltro, è in parte già affidato il controllo per ciò che attiene il paesaggio e l’ambiente, tanto che non è possibile intervenire anche quando vi è la necessità di impedire eventuali speculazioni.
        Al riguardo, tanto per fare un esempio, sono di questi giorni le notizie di una speculazione edilizia nella zona dell’Argentario e in Puglia dove pare stiano costruendo alcuni alberghi pseudopopolari a soli 100 metri da Castel del Monte, uno dei più importanti monumenti federiciani.
        Sembra incredibile, eppure tutto ciò avviene talvolta con la collusione dei sovrintendenti, o perché magari si ritiene di non avere la possibilità di bloccare queste azioni criminali che magari vengano pensate da «Verdi». Mi riferisco ad esempio ad un intervento speculativo che si intendeva realizzare in prossimità del Castello di Avio, intervento che credo di aver sventato dopo una lungo confronto con l’ex sottosegretario Mattioli.
        Sempre a questo proposito recentemente la signora Crespi, presidente di una organizzazione privata, il FAI, che ha avuto grandi benemerenze e che gestisce beni artistici con rigore degno della più alta causa (a questo proposito desidero segnalare che vi sono anche altri privati che offrono egregi esempi di conduzione ed a livelli che solo a fatica lo Stato riesce a garantire, cito per tutti la Galleria Colonna e la Galleria Doria Pamphili) ha sottolineato il rischio che luoghi di grande rilievo storico ed artistico vengano minacciati dalla costruzione di luna park ed in genere da vere e proprie oscenità, per altro senza sapere bene con quali strumenti impedire la loro realizzazione.
        Casi analoghi si possono citare ad esempio per quanto riguarda la regione Campania, mi riferisco a quel luogo sublime che è la Reggia di Carditello, rientrante nel progetto Alta velocità, che ha subito un forte degrado a causa di furti e di altri atti di vandalismo e che invece, proprio per la sua straordinaria bellezza, avrebbe meritato una attenzione maggiore anche dal punto di vista del suo utilizzo. Bisogna infatti considerare che se un luogo diventa museo c’è il pericolo che inaridisca, ma mantiene comunque la sua identità; se invece esso viene destinato ad altra funzione, per esempio ad ufficio (Palazzo Chigi, oggi sede del Governo), diventa una cosa diversa da quella per cui è stato creato e quindi perde la sua anima.
        In proposito voglio fare un esempio che riguarda un grande architetto, Carlo Scarpa, forse l’unico ad esser veramente riuscito ad intervenire nel tessuto storico preesistente. L’architetto Scarpa ha progettato e realizzato il celebre negozio «Olivetti» nelle Procuratie vecchie di Venezia, un luogo in cui si realizza un rapporto armonico tra passato e presente e che interpreta perfettamente il modello culturale di Adriano Olivetti. Questo negozio è stato venduto ed ora in esso vengono commercializzati gli oggetti più orripilanti e kitch dell’universo che vengono esposti coprendo i volumi ed i moduli architettonici disegnati da Scarpa.
        Ebbene, tutto ciò avviene perché la destinazione di quel negozio non è più quella primitiva; lo stesso accade per altri negozi o caffè storici che vengono abbandonati per diventare magari uno dei tanti esercizi della catena Mc Donald’s.
        Un altro caso analogo è quello della libreria «Umberto Saba» di Trieste, luogo straordinario, ma che per mancanza di denaro viene condotto con inverosimile sciatteria dal gestore e siamo ancora fortunati se non è diventato un negozio di jeans.
        Per non parlare poi degli arredi: se ad esempio vi recate nel palazzo di Venafro, restaurato dalla sovrintendenza, potrete osservare che la boiserie, un tempo in legno e con tarsie, è stata oggi realizzata in gomma piuma non si capisce poi per quale motivo, forse si è ritenuto di dover necessariamente inserire elementi infinitamente diversi rispetto a quelli della struttura originaria!
        Contemporaneamente vanno però segnalati alcuni interventi di restauro da parte di privati che, nonostante gli ostacoli talvolta posti dalle sovrintendenze, hanno operato in modo veramente esemplare. Valga per tutti l’esempio del Palazzo Cellammare di Napoli, intervento realizzato dal dottor Massimo Pisani, il quale con le sue sole forze ha messo insieme una collezione degna di un grande museo americano. Lo stesso discorso vale sia per l’ingegnere Amedeo Elia, che forse negli anni ’70-’80, secondo un modello arcaico, sarebbe stato considerato un criminale (giacché questa era la visione che si aveva in quegli anni dei collezionisti) e che ha donato la sua collezione alla Museo della città di La Spezia, sia per Egidio Martini che ha raccolto centinaia di dipinti veneti di cui ha fatto dono al Ca’ Rezzonico.
        Si può pertanto affermare che in alcuni casi l’attività dei privati è risultata più avveduta di quella dello Stato che, soprattutto sulla base di una male intesa convergenza fra le intenzioni del progettista e quelle dei sovrintendenti, ha talvolta legittimato interventi abominevoli quale ad esempio quello di Giancarlo De Carlo presso il Palazzo Ducale di Urbino, intervento che siamo fortunatamente riusciti a sventare.
        Mi riferisco nello specifico ad un luogo di questo palazzo, «l’Orto della abbondanza», che secondo il progetto in questione avrebbe dovuto diventare l’osservatorio della città mediante la creazione di un rivestimento a forma di ala di aereo in sostituzione del tetto. Francamente non si comprende bene la ragione per cui si volesse realizzare un intervento di così forte impatto e tanto invadente da rappresentare una intrusione veramente intollerabile.
        Il tutto si è potuto verificare per una strana coincidenza che hanno visto il sovrintendente Mancini – attualmente indagato dalla magistratura – fare proprio un progetto dell’architetto De Carlo che grida veramente vendetta, invece di effettuare i controlli del caso. Nonostante l’evidenza dei fatti per scongiurare la realizzazione del suddetto progetto è stato necessario condurre una vera e propria crociata conclusasi appunto con l’intervento della magistratura.
        Abbiamo inoltre assistito ad una forte contrapposizione politica nell’ambito della quale sono state pronunciate affermazioni che francamente non avremmo mai voluto ascoltare; infatti, da quando il ministro Bossi ha inventato la «devolution» (derivandola da un concetto scozzese), mai ci saremmo aspettati che un parlamentare come il senatore Ucchielli, diventato presidente della provincia, si richiamasse proprio a quel concetto lamentando il mio intervento come una ingerenza indebita, come se il Palazzo Ducale di Urbino fosse di esclusiva competenza dell’ente di cui è a capo. Quel monumento è invece da considerare patrimonio del mondo e quindi è inaudito che il controllo del restauro debba essere affidato esclusivamente alla regione o alla provincia senza che nessuno possa intervenire.
        Risulta pertanto opportuno esercitare il massimo controllo per evitare che interessi locali portino a soluzioni che non perseguono lo scopo della tutela del bene.
        L’obiettivo principale al quale abbiamo puntato con il massimo impegno nel tentativo di mutare completamente rotta è proprio quello di una tutela centrale. Come possibile soluzione abbiamo pensato, ad esempio, alla creazione di un organo ultranazionale di «saggi» a cui affidare il compito di individuare una serie di aspetti che potremmo definire «grammaticali» rendendo in tal modo impossibile il verificarsi di altri ignobili scempi.
        In tal senso desidero sottolineare ad esempio il restauro della cancellata della Villa comunale di Napoli, rispetto alla quale sono venute proteste da ogni parte politica e da numerosi esperti, quali Alda Croce, Cesare De Seta o Vittorio Emiliani, i quali hanno stigmatizzato la manifestazione di impotenza del Governo allora in carica che avrebbe potuto, nella persona dell’ex ministro Melandri, impedire questo orrore e che invece non lo ha fatto adducendo che quell’intervento era già stato autorizzato da un sovrintendente – peraltro indagato – l’architetto Zampino. Ora credo che nella maggioranza dei casi sia giusto seguire le avvedute determinazioni dei sovrintendenti, ma se questi compiono un errore che è davanti agli occhi del mondo, impedirlo è una potestà che il Governo deve poter esercitare proprio nell’interesse generale. Può anche accadere che l’autorità politica non abbia la necessaria competenza per verificare l’opportunità e la conformità di un progetto e che quindi si affidi a dei tecnici, ma va considerato che i tecnici talvolta compiono degli errori che possono diventare anche irreparabili e questo è il caso dell’Ara Pacis, laddove non è stato possibile intervenire in tempo per vincolare una delle poche architetture realizzate, in periodo di leggi razziali, dall’architetto ebreo Morpurgo. Senza alcun rispetto per la qualità del manufatto e per l’architetto, l’opera è stata abbattuta in campagna elettorale, per essere sostituita da una americanata iperglobalizzante del solito signor Meyer. La struttura del Morpurgo non era un capolavoro, ma non vi era neppure alcuna ragione per abbatterla; evidentemente, il Ministro per i beni culturali non ha ritenuto opportuno applicare il vincolo legislativo previsto in caso di opere che abbiano più di cinquant’anni.
        In effetti, rispetto alle attività culturali, si è in presenza di una scelta politica apparentemente avveduta, in realtà timida nell’applicazione esatta delle più elementari regoli grammaticali, che non dovrebbero essere oggetto di attenzione del comitato di settore o del Ministro competente. A nessuno è consentito scrivere «io ho andato» e a chiarirlo non è necessario l’intervento di un comitato.
        Vi sono sgrammaticature e interventi intollerabili quale, ad esempio, la copertura, per opera di un privato, con pannelli di plastica ideati da Gae Aulenti, dell’architrave, disegnata da Giorgio Massari, delle porte di palazzo Grassi, che chiudono uno spazio disegnato e perfettamente riconoscibile come opera di un architetto del settecento.
        Arbasino, con una felicissima metafora, ha descritto tali invasioni nei seguenti termini: nell’architettura tolleriamo e riteniamo talvolta persino accettabile quello che nessuno tollererebbe nel continuum di un’opera musicale. Immaginate, ad esempio, un quartetto di Mozart o la V Sinfonia di Beethoven intramezzati da un brano dei Beatles o di Michael Jackson.
        Ebbene, anche se è inconcepibile, quotidianamente si riscontrano nell’architettura irruzioni intollerabili su manufatti che hanno una storia e un’identità stilistica perfettamente riconoscibile, che nessuno ha l’autorità di violare se non arbitrariamente. Eppure, le violazioni sono all’ordine del giorno e con quest’indagine la Commissione avrà modo di verificare, ad esempio, alla Villa comunale di Napoli, agli ex stabilimenti Jurghans di Venezia, alla cattedrale di Pisa, al Tempio malatestiano di Rimini e al palazzo Ducale di Urbino, una serie di progetti che sono oggetto di dispute ideologiche a livello di università e di sovrintendenze in merito alla facoltà di realizzare opere di architettura contemporanea nell’ambito dei tessuti storici. Di qui la costruzione del famoso cubo di Foligno o il restauro scellerato della scala del Duomo di Spoleto.
        Negli ultimi dieci anni se si fossero evitati molti interventi di restauro, l’Italia avrebbe mantenuto l’identità di immagine descritta da grandi viaggiatori come Montaigne e Goethe e conservata sino a quando qualche architetto di grido ha ritenuto opportuno sovvertirne i canoni con interventi violenti e invasivi. Uno fra tutti è quello dell’architetto De Rossi a palazzo Campana a Torino, andatelo a vedere e poi mi riferirete.
        Architetti come il De Rossi, Dezzi Bardeschi ed altri, pur avendo meriti sul piano teorico, hanno realizzato interventi che purtroppo hanno condotto la disciplina del restauro ad una mancanza di rigore. È nelle nostre intenzioni realizzare, nell’ambito dell’Istituto centrale del restauro del Ministro, un’apposita struttura che abbia una specifica competenza sull’architettura e sul restauro degli intonaci, altro grande tema fortemente dibattuto, soprattutto alla luce dell’effetto meringa di palazzo Chigi a seguito di un restauro sbagliato perché basato su incisioni in bianco e nero, dalle quali il restauratore ha desunto che la facciata fosse bianca. L’effetto devastante di tale intervento appare più evidente se si osserva il risultato ottenuto dal restauro della facciata di palazzo Pamphili a piazza Navona, dove una Commissione ha recuperato alcuni frammenti sopravvissuti, i cosiddetti «colori dell’aria» e ha quindi dato alla superficie estesa, con un gesto molto dinamico del muratore, l’effetto di azzurro, che è documentato in molti palazzi da numerosi dipinti del ’600 e del ’700.
        La delicatezza degli interventi di restauro è ad ampio raggio in quanto parte dall’intonaco per finire ai pavimenti. Quanti pavimenti di chiese sono stati sostituiti sulla base del cosiddetto modello «donna delle pulizie» e cioè che si puliscono meglio? Molte chiese bizantine nel ravennate hanno pavimenti che andrebbero bene per sale in cui ballare il liscio; non si capisce chi possa aver fatto scelte di questo genere se non sulla base di criteri di funzionalità e di più facile gestione.
        Un altro importante tema concerne il conflitto con la CEI sugli altari nei presbiteri a seguito della nuova liturgia. Le ristrutturazioni di Pisa e di Rimini, in realtà, nascono dalla necessità di ribaltare gli altari per creare una mensa a volte con elementi molto semplici, altre volte mediante il recupero di parti antiche o barocche.
        In taluni casi sono stati incaricati anche bravi scultori come il Vangi per restaurare, ad esempio, la cattedrale d Pisa che tutti ben conoscete. Tale restauro corrisponde però a una necessità liturgica che si trasforma, attraverso un grande artista quale Vangi, in valore estetico. Ho dovuto lungamente dibattere con il vescovo che voleva convincermi della superiorità del Vangi rispetto al Gianbologna. Anche se una valutazione del genere può essere per lui valida, non possiamo convenire con quanto da quest’ultimo sostenuto; era preferibile realizzare l’intervento dell’architetto Vangi in un’altra chiesa e non al posto di un’opera del Gianbologna, smontando lastre cinquecentesche, a seguito di un assurdo ordine impartito dalla sovrintendenza in accordo con il vescovo.
        Gli esempi che vi ho richiamato potrebbero continuare all’infinito. Il punto dolente è proprio nel segmento che riguarda l’evoluzione delle città ma anche l’insofferenza degli architetti verso atteggiamenti umili che dovrebbero indurre – come ha recentemente dichiarato l’apprezzabile architetto Fuksas – a decidere autonomamente, comunicandolo anche ai colleghi, di non effettuare più interventi nei centri storici ma soltanto nelle aree cosiddette molli, che si collocano tra i centri storici e le periferie degradate, che meriterebbero una riflessione sul perché del loro stato.
        In via Guido Reni a Roma è previsto un intervento di un importante architetto iracheno per il Centro di architettura contemporanea. Esistono zone che non hanno il peso dei centri storici dove potrebbero essere concepiti interventi di architettura innovativa; aree neutre tra la città storica e la periferia dove sono presenti costruzioni del primo novecento che possono ben accompagnarsi ad architetture più evolute.
        La nostra non è una visione oscurantista che blocca lo sviluppo dell’architettura, l’evoluzione dev’essere perseguita secondo i criteri di restauro ormai acquisiti nel campo della pittura e delle arti plastiche. L’architettura del Borromini o del Bernini devono essere trattate con la stessa accuratezza con cui ci si avvicina a un quadro del Caravaggio.
        All’indomani della violenza operata da Lazlo Thoth sulla Pietà di Michelangelo, Manzù, grande scultore, si rifiutò di ricostruire le dita rotte ritenendo che dovessero essere ricomposte seguendo attentamente le intenzioni del Michelangelo. Nessuno immaginerebbe un quadro di Giotto integrato da un intervento del Guttuso. Perché, allora, l’architettura di Giorgio Massari deve essere integrata da Gae Aulenti? Quale ragione al mondo induce a ritenere che l’architettura, per fini funzionali, debba patire violenze e mutare il proprio volto? Nessuno effettuerebbe interventi di tal genere su una scultura o su una pittura, senza tener conto di ciò che l’opera era originariamente.
        Restaurare oggi opere architettoniche antiche equivale a ricostruire i templi antichi greci e quindi tornare alle loro strutture originarie, evitando la benché minima integrazione, così come avviene nel caso del restauro pittorico.
        Nell’architettura si è patito invece un pesante conflitto tra antico e moderno, che ha generato una serie di contraddizioni sul piano concettuale, a mio giudizio, facilmente sanabili ricorrendo al concetto di «grammatica». Oggi invece si assiste ad un dibattito ideologico come se si confrontassero posizioni passatiste e concezioni progressiste. Per quel che mi riguarda, condivido le posizioni più passatiste sostenute dai Verdi e da una sinistra colta, che segnalano come tra la mia posizione e la loro non vi sia soluzione di continuità ma una totale convergenza.
        A parte l’attribuzione al settore privato di tutto ciò che attiene alle problematiche gestionali, la mia concezione rappresenta l’applicazione al Ministero per i beni culturali dei princìpi sostenuti da Italia nostra e da Legambiente, princìpi volti pertanto all’integrale rispetto delle città. Recentemente Italia nostra mi ha ringraziato per aver impedito l’abbattimento a Vicenza di una Scuola eclettica della fine dell’800, che doveva essere trasformata in un’opera progettata dall’architetto Moneo, senza alcun motivo; si rischiava, in questo modo, di distruggere anche la memoria storica di coloro che hanno frequentato quel liceo, che ha una sua dignità post-palladiana. Eppure tutto ciò è ancora materia di un dibattito in cui si confrontano concezioni passatiste ed altre avanzate.
        Fortunatamente, però, associazioni ambientaliste come il FAI o Italia nostra, esprimono posizioni che sia in passato che oggi condivido pienamente, ed è per questo che mi sono trovato spesso a realizzare quello che da parte di questi organismi magari era stato solo un auspicio. Mi riferisco ad esempio ai meravigliosi magazzini del Porto Vecchio di Trieste il cui l’intervento di conservazione e restauro era nelle speranze delle associazioni e che oggi è diventato realtà anche attraverso il mio contrasto con un sovrintendente che – non se ne comprende la ragione – intendeva abbattere 15 magazzini risalenti a fine ’800 inizi ’900, trasformando così una zona con una identità precisa e che a mio avviso rappresenta quasi una città nella città, in una qualunque periferia urbana.
        I tanti esempi che vi ho enumerato ed i mille che potrei ancora aggiungere mi portano a ritenere la presente un’indagine estremamente importante proprio ai fini di una maggiore consapevolezza di queste problematiche e contemporaneamente dell’esigenza di una normativa – sia di iniziativa parlamentare che governativa – attraverso la quale affidare all’amministrazione centrale tutte le funzioni di tutela e di controllo dei beni culturali, nell’ambito di una visione che rifugge da ogni possibile decentramento ed autonomia. In tal senso sarebbe opportuna la creazione di una struttura presso il Ministero che potrebbe eventualmente anche avvalersi della collaborazione di un consiglio di «saggi», di esperti quali Antonio Cederna o Giulia Maria Crespi membri di associazioni che da sempre guardiamo con ammirazione.
        Torno a ribadire che escludere l’amministrazione centrale dalla funzione di controllo per quanto riguarda il restauro della tutela dei beni culturali significherebbe pervenire ad una vera e propria pericolosissima anarchia.
        Questo è il tema centrale da cui dobbiamo partire; vi sono poi tutta una serie di argomenti che riguardano il patrimonio artistico, primo fra tutti la valorizzazione – un tema che oggi purtroppo non ho avuto modo di affrontare – rispetto al quale credo che un coinvolgimento delle regioni, degli enti locali e dei privati potrebbe risultare molto positivo ed utile. Infatti, in questo modo l’amministrazione centrale, titolare della tutela, non dovendosi più occupare di inutili questioni quali la gestione del personale e dei servizi aggiuntivi, più facilmente potrebbe esercitare le sue funzioni di controllo, di vigilanza e di ricerca. Ripeto che alcune competenze potrebbero essere più proficuamente attribuite alle regioni o ai privati, mantenendo però vigorosa nelle mani dello Stato la tutela del patrimonio, la sua integrità e il restauro.
        PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Sgarbi, e do la parola ai colleghi per un giro di domande.         PAGANO (DS-U). Signor Presidente, pur non volendo entrare nel merito, desidero comunque sottolineare che il nostro Regolamento non è ultronea nel definire la presente come un’indagine conoscitiva giacché si tratta di una particolare indagine che viene concessa dalla Presidenza, del resto il sottosegretario Sgarbi lo sa perfettamente vista la sua esperienza di parlamentare.
        Condivido la passione manifestata dal Sottosegretario nell’affrontare le questioni poste, in particolare per ciò che attiene il restauro architettonico su cui è in corso un dibattito ancora apertissimo – basti pensare alla discussione ancora attuale su un intervento di ormai 20 anni fa, mi riferisco al famoso cubo di cristallo realizzato accanto alla cattedrale medievale di Brema – rispetto al quale non sento però di accettare integralmente i giudizi del Sottosegretario. La mia preoccupazione, tuttavia, è che la passione con cui notoriamente l’onorevole Sgarbi conduce la sua battaglia, una passione – ripeto – in cui mi riconosco, possa confondersi con il suo ruolo istituzionale che è quello di Sottosegretario del Ministero.
        Per quanto riguarda la sottolineata opportunità di un rafforzamento dell’amministrazione centrale, vorrei ricordare al Sottosegretario – che allora faceva parte dell’opposizione e che quindi certamente rammenterà – le critiche di eccessivo centralismo che quest’ultima avanzò rispetto all’impostazione della riforma del Ministero introdotta dai decreti Bassanini. Faccio altresì presente che l’allora maggioranza condusse invece quella battaglia proprio in considerazione dei pericoli di un integrale decentramento alle regioni in materia di tutela del patrimonio artistico.
        Nel merito della presente indagine ed in vista di un prossimo incontro chiedo al Sottosegretario di fornire ulteriori informazioni sull’organizzazione del Ministero, sulle indicazioni del Governo, su quanto attiene il rapporto con le sovrintendenze ed infine sulle modifiche normative che si ritengono necessarie.
        Per quanto ci riguarda ci ripromettiamo di sentire i direttori generali ed i sovrintendenti nella consapevolezza che il nostro lavoro non ha come obiettivo l’individuazione di quelli che il Sottosegretario ha definito «orrori», bensì quello di ottenere un quadro della materia sotto il profilo istituzionale, legislativo e gestionale.
        L’altra questione posta dal Sottosegretario – sulla quale certamente avremo modo di confrontarci politicamente anche se non in questo contesto – è quella della concessione ai privati dei compiti di valorizzazione dei beni culturali, rispetto alla quale esistono già strumenti previsti dalla normativa, strumenti che purtroppo non sono stati ancora utilizzati appieno.
        Tornando al tema dei restauri architettonici mi permetto di suggerire sommessamente al Sottosegretario di non tenere atteggiamenti che oserei definire da Minculpop e quindi di non fornire indicazioni ai sovrintendenti su come si debba o non si debba procedere. Peraltro, debbo dire di aver trovato molto provinciale la polemica del restauro della cancellata della Villa comunale di Napoli; infatti, al di là della persona del sovrintendente, dottor Zampino – sul quale mi è capitato più volte in passato di esprimere le mie perplessità – ritengo comunque giusto che siano state seguite le indicazioni del sovrintendente, cosa che del resto ha fatto il ministro Melandri rispetto ad un intervento che personalmente – l’onorevole Sgarbi forse si scandalizzerà – non ho trovato affatto drammatico.
        Ritengo necessario, pertanto, fare attenzione e non entrare nel merito di certi interventi, dico questo pur condividendo le affermazioni del Sottosegretario a proposito dell’esistenza di differenti parametri di intervento fra la pittura, la scultura ed in genere le arti figurative ed il settore dell’architettura.
        Per quanto riguarda il seguito della presente indagine conoscitiva, prego infine il Presidente di stabilire i criteri con cui procedere dal momento che da parte del Ministero dovranno essere fornite, oltre alla documentazione di cui faremo richiesta, anche eventuali indicazioni.
        COMPAGNA (CCD-CDU:BF). Signor Presidente prescindendo dall’intensa e appassionata galleria di casi esposta dal Sottosegretario, approfitterei invece delle informazioni di cui siamo venuti in possesso per segnalare quella che definirei la «priorità delle priorità» che l’onorevole Sgarbi ha richiamato alla nostra attenzione. Se ho ben compreso, il sottosegretario Sgarbi, con un’espressione dettata da sincera e sentita passione etico-politica, ha richiamato l’attenzione su un’autentica «emergenza criminale» nel comparto del restauro architettonico che, nel nostro secolo, rappresenterebbe – non solo in Italia – «l’emergenza delle emergenze» di ogni organizzazione politica e istituzionale della cultura.
        Da questo punto di vista, pur apprezzando questo sentimento etico-politico, non posso sottacere la delusione della proposta che il Sottosegretario adombra sul piano istituzionale quando afferma che, essendo il restauro architettonico la «frontiera delle frontiere», è opportuno creare, nell’ambito del Ministero per i beni culturali, una struttura centrale a ciò preposta.
        A mio sommesso parere, la proposta suesposta è riduttiva rispetto alla complessità dei casi evocati con estrema sensibilità del Sottosegretario, che evidenzia la profonda cultura liberale dello Stato – non già della società – riconoscibile nella legislazione del 1939 di Santi Romano, affermatasi cronologicamente nel periodo fascista ma certamente non attribuibile a tale regime, analogamente a quanto è avvenuto, un decennio e più prima, nel caso della riforma scolastica operata dal Gentile.
        Vi è quindi una sensibilità di stampo crociano e gentiliano dal punto di vista filosofico o di modello Landi-Santi Romano sul piano del primato pubblicistico della tutela del patrimonio artistico e culturale esistente.
        Da questo punto di vista, mi corre l’obbligo di esprimere la mia delusione per la poca chiarezza circa l’individuazione del soggetto preposto all’elaborazione di questa nuova «grammatica». Più che una struttura centrale ho l’impressione che bisognerebbe ricostruire un tessuto istituzionale di garanzia, che elimini la possibilità di attribuire il giudizio del bello e del brutto al potere politico, sia esso presidente di provincia o ministro. In tal senso, mi ha colpito l’obiezione della collega Pagano che si muove proprio in questa stessa direzione.
        Premesso che, come è noto, la sensibilità di Sgarbi non è di stampo Minculpop, riconosco la piena legittimità di chi è all’opposizione di ricorrere ad argomentazioni del genere. Ciò non toglie però che sia necessario riconsiderare il ruolo del Ministero non solo e non tanto in termini di nuovi uffici da sovrapporre quanto di nuove procedure da individuare ed applicare.
        Del resto, l’intervento del sottosegretario Sgarbi è partito dalla recente vicenda di cronaca del Consiglio nazionale per i beni culturali. In verità, rispetto all’impalcatura originaria, a metà degli anni ’70, il Consiglio nazionale ha rappresentato un importante momento tecnico-scientifico di primato della cultura, che andava ben al di là delle benemerenze che, nella storia dell’amministrazione italiana, le sezioni dei consigli superiori avevano; devo aggiungere che la delusione è stata fortissima.
        Analoghe considerazioni possiamo esprimere per quanto riguarda le amministrazioni dei beni culturali, gli uomini che in esse operano, le procedure, la divisione degli uffici e il primato del momento tecnico-scientifico su quello burocratico-amministrativo, che è comunque e dovunque garantito.
        Se il sottosegretario Sgarbi lo consente, sostituirei lessicalmente all’espressione «grammatica e sgrammaticatura» l’altra «codice e violazione del codice», in quanto più omogenea alla sua sensibilità culturale di stampo liberale come dottrina dello Stato limitato ma pur sempre Stato.
        Sarebbe opportuno ripensare la ragion d’essere del Ministero per i beni culturali, che è nato nel 1975 sulla scorta dell’elaborazione della «Commissione Franceschini» non come ministero ma come agenzia, prendendo a modello l’esperienza, allora positiva, della Cassa per il Mezzogiorno.
        Una struttura centrale giustapposta o sovrapposta ad altri uffici centrali può essere opportuna e il Governo ha piena legittimità ad assumere decisioni in tal senso, ribadisco però che mi sembra una soluzione riduttiva rispetto alla ricchezza delle riflessioni e dei sentimenti messi in campo dal sottosegretario Sgarbi.
        Oltre alle tipologie di organizzazione, necessitano di un ripensamento le procedure, la collocazione e la concezioni dei sovrintendenti che rappresentano, certamente, un’importante istituzione della libertà e del mondo occidentale. La Grecia quando si liberò dal regime fascista dei colonnelli, come primo atto, istituì proprio le sovrintendenze.
        Tuttavia, rispetto ai valori di stampo crociano e gentiliano, alle procedure secondo il modello Santi Romano così come è e come si è dipanata in questi ultimi 25 anni l’istituzione sovrintendenza è esattamente la stessa cosa; si tratta soltanto di coordinarla, in modo più efficace all’ufficio centrale, creando una struttura nuova ovvero, più in generale, ripensandola, forse riscrivendola nell’ambito delle norme di attuazione del segretariato.
        Citando nuovamente la senatrice Pagano, che vanta come meritoria l’idea di «debassanizzare» i beni culturali, fece bene il Governo a non consentire che questi ultimi fossero travolti dall’enfasi del federalismo a Costituzione invariata per quanto concerne la tutela dei beni culturali ed architettonici esistenti.
        Non si può però prescindere dal fatto che, nonostante ciò, in questi anni la concezione del Ministero per i beni culturali e la sua organizzazione si è caricata di altre prerogative e il Ministero in cui opera il sottosegretario Sgarbi vede oggi al proprio interno anche la presenza dell’onorevole Pescante, cui va aggiunto il controllo sul CONI; non mancano dunque rischi di statalismo in senso dirigistico.
        Da questo punto di vista, sulla base di quanto riferito dal sottosegretario Sgarbi e sottolineato dalla collega Pagano, sono convinto che la nostra indagine debba allargarsi, tenuto conto delle emergenze indicate e della priorità che il restauro architettonico riveste, priorità che non può limitarsi alla semplice istituzione di un ufficio centrale.
        Cionondimeno, se per il Governo è prioritaria l’istituzione di un ufficio centrale, proceda pure per via amministrativa; non sarà il Parlamento, quanto meno la maggioranza parlamentare, che chiede soltanto di essere concertata e guidata dall’Esecutivo, a frapporre difficoltà.
        PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l’audizione e rinvio il seguito dell’indagine conoscitiva in titolo ad altra seduta.         I lavori terminano alle ore 17,30.