Carmina Burana

(In Forma Scenica)

ORARI E PREZZI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Breve storia dei Carmina
C'era una volta... come tutte le storie anche la nostra comincia in tempi nebulosi e lontani. L'epoca è quella buia dell'alto medioevo, i luoghi per lo più Francia e Germania.
La dissoluzione del sogno di restaurazione di Carlo Magno aveva fatto ripiombare l'Europa in un oscurantismo impensabile a noi moderni intossicati dalle visioni hollywoodiane della Tavola Rotonda. I cavalieri non erano quelli "d'acciaio scintillante e di purezza", ma laidi omaccioni che non si toglievano la corazza di dosso per giorni e che puzzavano come caproni.
Le arti e soprattutto le scienze dei pagani che avevano illuminato la Grecia e Roma erano scomparse dal ricordo degli uomini; in compenso la Chiesa imbottiva i malati di Pater Noster e, se proprio ti andava male, una bella indulgenza in extremis, ti garantiva la vita eterna nell'alto dei cieli.
Fortunatamente una parte di umili uomini di fede si adoperò in quei tempi a trascrivere, spesso anche a manipolare, ma in sostanza a salvare le opere dei maestri dell'antichità. Questi monaci, più dotati di bella scrittura che di cultura profonda, ebbero per quei testi pagani un rispetto ed un amore che mal si addiceva alle loro sottane. Benchè Vescovi e Papi tuonassero contro l'immonda lascivia di Orazio, di Ovidio, di Catullo, evidentemente i nostri fratacchioni traevano più godimento dalla lettura delle Satire che dai tetrametri trocaici del loro contemporaneo Pier Damiani, santo sì, ma anche tetro ed uggioso.
Fatto è comunque che gli scritti dei grandi dell'antichità furono, un po' per paura del peccato e un po' per ammirazione dell'intelletto, messi nei canti delle biblioteche monastiche.
Con il superamento del fatidico Mille, gli uomini cominciarono a pensare che nonostante tutto ci potesse essere qualcosa di meritevole di esser vissuta. Ci si buttò nuovamente nei commerci, l'economia si risollevò lentamente dallo stato primitivo in cui era caduta e, come al solito, i nuovi ricchi vollero ammantarsi di un'aura di sapere.
Le SCHOLAE, che non esistevano pressochè più da sette secoli, ricominciarono ad apparire sotto il segno della Croce. Il clero istituiva; luoghi di insegnamento vicino ai luoghi di culto: creando una classe di letterati e fagocitando immediatamente, la Chiesa veniva ad essere così l'unico centro di cultura in un mondo di bifolchi, non esclusi principi e baroni che, se volevano istruire i frutti dei loro regali lombi, dovevano per forza passare sotto la forca caudina dei precettori in tonaca.
Verso il XII secolo la completa confusione culturale cominciò gradualmente ad attenuarsi sotto lo stimolo di nuovi fermenti intellettuali. La fideistica accettazione della bontà storica delle Sacre Scritture, l'aperta ostilità verso qualsiasi forma di sapienza ed arte non rigidamente conforme all'IPSE DIXIT, la repulsione verso la cultura dei classici (pagani e come tali in odore di demoniaco zolfo) cominciarono a cedere il passo a visioni culturali ed etiche meno manichee ed ortodosse.
Il fatto è che si era venuta a creare una cerchia anche ampia di HOMINES NOVI ormai stufi di dover prendere la vita come un doloroso ma necessario viatico per l'eterna beatitudine. Questi uomini di lettere, orgogliosi della propria cultura, servitori certo fedeli dei dettami religiosi, ma pur sempre disposti ad indulgere ai richiami più veniali del corpo, formarono ben presto una casta a sè stante, dotata di una certa indipendenza economica, ma soprattutto di un immenso ascendente culturale. Questi uomini di lettere, dicevamo, possono essere a ragione considerati i primi goliardi. Idolatrati dagli studenti delle UNIVERSITATES di appartenenza, per lo più mantenuti dalle generose sovvenzioni degli alunni stessi, coi quali spesso incrociavano la lama della cultura in estenuanti (e dottissime) gare letterarie, venivano vezzeggiati dalle corti di tutta Europa ogniqualvolta vi fosse un rampollo da educare o un aspirante monarca da dirozzare. E proprio andando qua e là per le strade del mondo portarono in giro le loro opere.
Questi colti appartenevano, nella quasi totalità, all'ORDO CLERICALIS. La cultura infatti, e la diffusione della stessa, era totalmente e saldamente in pugno al clero che non aveva alcuna voglia di cederla a favore della nobiltà. Se volevi accedere ai tomi della sapienza dovevi quindi sacrificare le chiome all'atto della tonsura. Ma il danno era poi abbastanza lieve se si considera che non solo con lo status clericale si acquistava il rango di uomini di lettere, ma soprattutto che i vincoli religiosi e morali erano ridotti allo stretto necessario per salvare le forme: con l'obbligo di qualche preghiera in compagnia e col divieto di contrarre matrimoni (ma sul concubinaggio si chiudevano facilmente gli occhi benevoli degli alti prelati) si poteva diventare dottori ed intraprendere tutte le attività, purchè previste sotto l'egida della Chiesa.
Denominati CLERICI si attribuirono l'appellativo di VAGANTES per il loro continuo peregrinare di corte in corte, di schola in schola. Ma uomini come ABELARDO, come UGO D'ORLEANS, come l'ARCHIPOETA non potevano limitarsi a diffondere nozioni acquisite: animati da continue tensioni culturali tramandarono insieme alle loro speculazioni anche i loro OTIA letterari.
Abelardo diffondeva insieme alla DIALECTICA il suo celebre carme ORDO VAGORUM, vero manifesto dei Clerici Vagantes, nel quale si riscontra una possente esaltazione verso la vita intesa nel suo senso più ampio e terreno.
La poesia dei Clerici si presenta quindi ricca di motivi gioiosi, con un entusiasmo per l'aspetto sensuale e libertino della vita che non troverà più riscontro nella letteratura. I freni di una morale non più idonea idonea alle loro menti di liberi pensatori si allentarono di colpo e sentimenti e volontà represse sgorgarono ed esplosero con pagana allegrezza. Non solo si cominciò a cantare la gioia per le donne, il vino ed il dado (cosa che farà poi anche Cecco Angioleri ma con un nichilismo sconosciuto ai canti goliardici) ma ci si spinge più in là: si ironizzò sulla religione, o meglio sugli alti esponenti della medesima, e non pochi sono i CARMINA che innestano su un ceppo cristiano o addirittura liturgico versi blasfemi contenenti una sfrenata voglia di vivere tutta permeata di una violenta sensualità.
Quando la graffiante protesta (dacchè di questa si trattò in fondo) dei CLERICI VAGANTES si rivolse sempre più violenta ed organizzata contro l'establishment etico-culturale, logicamente la Chiesa cessò di guardare questi spiriti liberi con benevola indulgenza. Dai pulpiti si cominciò a tuonare contro i chierici di Abelardo, il più famoso di essi, si buscò l'appellativo di "novello Golia". Quello che voleva essere un insulto contro lo studioso è quasi certamente il motivo per cui si indicarono e si indicano con il termine GOLIARDI (seguaci cioè di Abelardo/Golia) la parte più scanzonata degli universitari. Fatto è che comunque i VAGANTES subirono da parte della Chiesa una emarginazione sempre più violenta che, in determinati casi limite, arrivò anche a metterne a repentaglio l'incolumità fisica.
Come si sa il povero Abelardo fu evirato dagli sgherri del canonico Fulberto per averne sedotto la nipote Eloisa. L'orrido supplizio fu dettato da motivi d'onore, ma risultò ben chiaro agli altri chierici che Fulberto non avrebbe osato tanto senza la sicurezza dell'indulgenza ecclesiastica.
Nel 1231 il concilio di Salisburgo li definì "scurriles, maledicos, blasphemos"; per i tempi non era poco, anzi, ce n'era abbastanza per rimetterci la collottola. Incalzati dal braccio secolare della Chiesa, minacciati di essere esclusi dal rito della tonsura, i VAGANTES si dispersero per l'Europa, diventando così semplici uomini colti, non più movimento culturale. Senza una scuola che se li tramandasse i CARMINA GOLIARDICA sparirono, dimenticati nelle polverose biblioteche di qualche chiostro o di qualche nobilotto scanzonato.
Il destino fu però generoso verso i chierici: mani ignote ricopiarono infatti buona parte di quei canti. Il tomo prezioso che li custodiva sonnecchiò fino ai primi dell'800 nel monastero di BENEDICTBEUREN ove fu rinvenuto. Lì fu catalogato, osservato e nuovamente dimenticato fino a quando verso la metà del secolo scorso fu "scoperto" nella biblioteca di Berlino ove era stato trasferito. Da allora furono pubblicate diverse edizioni dei CARMINA (detti CARMINA BURANA da BEUREN, il monastero benedettino ove furono ritrovati i testi) fino a che, poco prima della Seconda Guerra Mondiale, il tedesco CARL ORFF non partorì un miracolo artistico, musicando i CARMINA. L'opera che è a ragione considerata uno dei grandi capolavori sinfonici del nostro secolo ha avuto un successo travolgente in tutto il mondo. Secondo la più pura tradizione goliardica i CARMINA sono basati più sul ritmo che sul metro; nati per essere accompagnati dalla melodia e per essere cantati in coro, trovano nell'opera di Orff un calzante accompagnamento musicale.

 


Conferenza Stampa di Presentazione


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